A 50 chilometri da Roma, nella Tuscia Viterbese, al centro della Valle del fiume Treja su un impervio sperone tufaceo, Calcata conserva intatto il proprio patrimonio storico. Insieme al proprio fascino antico dovuto anche al fortunato incontro negli anni ‘70 con pittori, scultori, artigiani. E con artisti, attori e musicisti, che hanno trasformato questo luogo destinato al progressivo spopolamento in un “borgo della creatività”.
Nel paese vecchio vivono stabilmente poche decine di persone, in gran parte provenienti da Roma o da altri centri urbani, ma anche stranieri. I calcatesi, invece, si sono trasferiti sul pianoro sovrastante la rocca. Il podestà di epoca fascista fece iscrivere Calcata, in virtù di una legge speciale per i centri terremotati della Sicilia e della Calabria, nel novero dei paesi da risanare.
Abbandonato quindi intorno agli Anni ’30 del ‘900, perché considerato pericolante e a forte rischio idrogeologico, il borgo, è stato ripopolato a partire dagli Anni ’70.
Periodo culturale fervido di creatività nel quale una serie di artisti internazionali di tutto il mondo, l’hanno trasformata nel loro “buen retiro” e fonte di ispirazione artistica.
La particolarità di questo borgo è la straordinaria fusione tra l’intatta natura circostante ed il paese. Una magia costruita apposta per dispensare meraviglia, stupore, emozioni.
Nel borgo, alcune abitazioni in tufo risalgono al 1200 e le strade sono pavimentate con grandi ciottoli di fiume fin dal 1700. La piazza con la chiesa presenta una struttura rinascimentale e il palazzo baronale, ristrutturato tra il XVIII e il XIX secolo, è stato oggetto di restauro.
Il moltiplicarsi degli studi d’arte con artigiani e artisti che lavorano in piccoli e caratteristici locali a volte con piccole aperture nello spettacolare affaccio sulla sottostante verde valle ha stimolato un turismo rilassato.
Fatto di persone che vogliono passare qualche ora nella quiete del tempo antico e stimolati dalla fantasia del presente. Nascono poi numerosissimi piccoli ristoranti con un’offerta gastronomica all’altezza della vocazione creativa del borgo.
Le origini di Calcata, di cui non si conosce da cosa derivi il nome, si perdono nella notte dei tempi. Abitata di certo nell’era preistorica, l’area divenne in epoca pre-romana un rilevante avamposto della civiltà falisca.
Calcata appare nei documenti ufficiali a partire dal 700 d.C., quando è inserita tra le fattorie della “domusculta” di Capracorum, uno dei centri di produzione agricola istituiti da Adriano I per rifornire Roma di alimenti. La seconda menzione del paese è in una donazione del castello all’Abate di San Gregorio di Roma, risalente all’8 marzo 974.
Da quel momento, il paese ha visto alternarsi una lunga sequenza di signori e tutori fino alla cessione del feudo ai Sinibaldi nel 1180. Successivamente, il castello passa agli Anguillara.
Nel 1432 il castello ritorna ai Sinibaldi, poi di nuovo agli Anguillara, cambiando proprietari fino al XIX secolo quando viene acquisito dai Massimo.
Data la posizione inaccessibile e isolata, il borgo rimase, per sua fortuna, sempre ai margini delle vicende storiche, preservandosi così da doli e distruzioni e mantenendosi intatto nei secoli a venire.
Affascinante da vedere nei dintorni è l‘Opera Bosco Museo di Arte nella Natura, un museo-laboratorio sperimentale all’aperto di arte contemporanea. Esteso su due ettari di boscaglia nella forra della Valle del Treja fu creato nel 1996 da due artisti, Anne Demijttenaere e Costantino Morosin. Consiste in un percorso di opere realizzate con grezzi materiali naturali.
Alla fine della nostra visita vale la pena calarsi nello scenario incantevole della Valle del fiume Treja. Dove il vivace torrente corre su un letto di roccia vulcanica, formando salti e cascatelle. Per poi insinuarsi tra le alte pareti tufacee ricche di una rigogliosa e inestricabile vegetazione.
Il Treja è un corso d’acqua che sorge dai monti Sabatini e confluisce nel Tevere all’altezza di Civita Castellana. Sono circa 30 km di percorso nei quali attraversa una campagna in buona parte coltivata, ma le acque nel tempo hanno creato un mondo ancora selvatico: è quello delle forre, scavate nei teneri tufi dell’antico vulcano sabatino.
La natura, attenzione di non disturbarla perché tutto avviene senza smottare la terra e gli alberi e tutto si realizza col materiale della natura, sicché tutto è destinato a celebrarsi in attesa del suo naturale decadere.
Un fiume quasi sconosciuto, affluente di destra del Tevere. Un paesaggio ombroso e verdeggiante, dove le acque hanno scavato nei tufi vulcanici forre profonde e ramificate.
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