L’attuale assetto urbanistico non rende onore alla preziosa chiesa di Santa Bibiana ed alle sue radici antiche. La prossimità con la stazione Termini, le sue grandi strutture ferroviarie e i palazzi umbertini circostanti la nascondono alle vie di passaggio della Capitale.
Forse è un bene, perché i veri gioielli artistici discreti e riservati lasciano a un visitatore non casuale il piacere della scoperta.
Un’antica tradizione data la costruzione della chiesa di Santa Bibiana nel 363 d.C. nel luogo dei martiri di Bibiana, di sua madre Dafrosa e della sorella Demetria.
Per il Liber Pontificalis l’anno di edificazione della chiesa è il 467, regnante papa Simplicio che vi trasferì le reliquie di altri martiri: Simplicio, Faustino e Viatrice.
Nel 1224 Onorio III la restaurò e le fece costruire accanto un monastero femminile in uso fino al XV secolo. Urbano VIII lo volle demolire all’inizio del Seicento e riedificò la chiesa in occasione del ritrovamento delle reliquie, in prossimità del Giubileo del 1625. A dirigere i lavori fu chiamato il giovane Gian Lorenzo Bernini, all’esordio come architetto.
Bernini, figlio d’arte, aveva venticinque anni all’epoca ed era cresciuto fin da piccolo sotto la guida del padre Pietro. Uno scultore toscano voluto a Roma da Paolo V per ornare la Cappella Paolina di Santa Maria Maggiore. Ben introdotto nelle famiglie nobili dell’epoca, Gian Lorenzo era già impegnato nel Baldacchino di San Pietro e come scultore aveva già prodotto diversi capolavori. Opere quali: il gruppo “Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia”; il “David”; il “Ratto di Proserpina”; “Apollo e Dafne”.
Per Santa Bibiana, rifece completamente la facciata con una configurazione fino a quel momento esclusiva dei palazzi rinascimentali. Internamente, costruì due cappelle in fondo alle navate laterali; chiuse le finestre della navata centrale e realizzò il nuovo presbiterio al posto dell’antica abside.
Questo, dal punto di vista architettonico; per quello a carattere artistico realizzò la magnifica statua della santa collocata dietro l’altare maggiore.
È la prima opera pubblica di soggetto sacro dell’artista e innova le regole del genere allora vigenti. Meritano particolare ammirazione: lo sguardo estatico rivolto verso l’alto, il raffinato panneggio delle vesti e la mano destra con le dita sospese in aria.
A dipingere gli interni furono chiamati due pittori toscani: Agostino Ciampelli e il giovane Pietro da Cortona, anch’egli ben inserito nell’alta nobiltà ecclesiastica. L’interno dell’edificio ha tre navate divise da colonne di spoglio. Vicino l’ingresso è posta la colonna in marmo rosso, per la tradizione quella sulla quale Bibiana subì la flagellazione. Gli affreschi e le tele rappresentano scene di vita della santa: il ciclo di sinistra è del Cortona, quello a destra di Ciampelli.
La chiesa, fulcro della nascita del primo Barocco, fu luogo di culto popolare. “Bibiana”, per opera del rotacismo che trasforma la lettera “b” in “v” (come in serbare = servare), equivale a “Viviana”. Cioè, agli occhi del popolo, ricca di vitalità.
Quindi, la santa fu venerata attribuendo alle polveri rosse della colonna citata, grattate di nascosto, proprietà curative miracolose.
Festeggiata dalla chiesa il 2 dicembre, la saggezza contadina ha coniato in vari dialetti locali un proverbio “meteorologico”. La cui versione italiana recita: “Se piove a Santa Bibiana, dura quaranta dì e una settimana”.
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